Luigi Santini e Stefano Sepe

A quasi dieci mesi dall’insediamento, l’azione del governo Meloni sembra distinto in due
criteri di ragionamento e in due tipi di finalità. Sul piano internazionale la premier si è
mossa con molta rapidità e disinvoltura, cercando in tutti i modi (e in tutte le occasioni) di
accreditarsi per legittimare l’adesione ai principi dell’Unione europea. Operazione non
facile che Giorgia Meloni ha condotto con spasmodico impegno, al fine di dimostrare che il
governo da lei diretto era in piena e totale sintonia con gli indirizzi politici e le direttive
comunitarie. Nonostante non manchino, tuttora, ritardi e inadempienze sullo strategico
terreno del PNRR, si può dire che la premier è riuscita a evitare che l’Italia fosse messa
all’angolo del sistema comunitario.
L’aspetto più vistoso dell’attività della presidente del Consiglio è consistito in un frenetico
susseguirsi di incontri istituzionali e di ripetuti “bilaterali” con gli altri capi di Stato e di
governo. Da diverse settimane l’azione della premier è stata rivolta a trovare una soluzione
praticabile dell’immigrazione dalle sponde nordafricane al nostro Paese (o Nazione,
direbbe Meloni). Obiettivo di rilevante importanza sul quale nessun altro governo ha
finora ottenuto i risultati sperati. Al riguardo, è quasi pleonastico sottolineare che la colpa
del dramma umanitario delle morti in mare e del continuo arrivo di diseredati dall’altra
parte del Mediterraneo è, in primo luogo, dell’Unione europea, che poco o nulla a fatto in
proposito. Da un po’ sembra che le cose comincino a cambiare, come sottolinea la presenza
di Ursula von der leyen in Tunisia insieme a Giorgia Meloni.
Proprio con questo Paese la premier italiana ha giocato tutte le sue carte, poiché è dalla sue
coste che partono i barconi dei potenziali immigrati. L’accordo con il capo dello Stato
tunisino è stato raggiunto, ma non è da ritenere soddisfacente. Tutt’altro. È noto che i
profughi che vorrebbero arrivare in Italia sono rinchiusi in lager in condizioni disumane.
Occorre chiedersi: è ragionevole fare patti con un dittatore? Chi garantisce che i soldi dati
dall’UE vengano usati per fini umanitari? Forse sarebbe stato necessario pretendere la
presenza di ispettori inviati dalla UE per verificare le modalità di intervento del governo
tunisino.
Sul pian0 interno l’azione dell’esecutivo guidato dal Giorgia Meloni sembra mosso da una
sola ragione: difendere il suo elettorato. Ogni intervento di esponenti dei tre partiti di
maggioranza sembra recitato come un rosario: stesse parole, stessi concetti, stesse
insofferenze verso chi cerca di obiettare. Per portare a compimento le “ragioni elettorali”
occorre, però, tener conto che ciascuno dei partiti di maggioranza ha il suo obiettivo
irrinunciabile. Alla Lega interessano due cose: la “pace fiscale” e “l’autonomia
differenziata”. La pace fiscale di Salvini sarebbe l’ennesimo condono, con regalie a chi non
paga le tasse e schiaffi a chi le paga. Dal canto suo, il progetto di autonomia differenziata –
come dimostrano numerosi studi di organismi indipendenti e dello stesso Parlamento –

allargherebbe ancor più il divario tra le zone più ricche del Paese e quelle più povere. Qui
cominciano i distingui tra le forze di governo. Le ipotesi Salvini-Calderoli vanno barattate
con le proposte del disegno di legge predisposto dal ministro della Giustizia, Nordio, nella
quale proposta spicca l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Progetto che piace tanto a
Forza Italia, che si acconcerebbe a non intralciare le richieste degli alleati.
Ma sopra ogni cosa, a dimostrare la mancanza di alcun senso di equità sociale da parte del
governo vi è il netto e granitico rifiuto di discutere la proposta, fatta dai partiti di
opposizione, di prevedere per legge che il salario minimo non sia inferiore a 9 euro l’ora. In
cambio si è approvata la mancetta di circa 380,00 euro per i più bisognosi. Una tantum.
Una vera e propria offesa a coloro che faticano a sopravvivere.

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