De Luca ter? Meglio no         

         Prof.Luigi Santini

Vincenzo De  Luca sembra essere sempre alla ricerca di un nemico. Questa volta i suoi strali si sono diretti contro la borghesia napoletana, accusata di “passività e subalternità al potere”, nonché di essere sostanzialmente “dormiente”. In altre di non essere matura e capace e di assumere il ruolo di classe dirigente. Giudizi tutt’altro che generosi, provenienti dal presidente della Regione, il quale da quasi due mandati è alla guida della Campania e che, peraltro, si è autocandidato a un terzo mandato. Le sue considerazioni molto opinabili, allorché De Luca afferma che quella borghesia è “prona” nei confronti del potere, quindi, per cominciare, verso lui stesso. Non è chiaro in base a quali parametri De Luca abbia costruito le sue convinzioni, se si tiene conto che Napoli appare, nei giudizi generali, una capitale di livello europeo. Si potrebbe obiettare, naturalmente, che non mancano ritardi e contraddizioni, ma certamente la borghesia è stata parte attiva nella rinascita culturale, sociale e turistica della città.

Al riguardo, non è qui la sede per cercare una risposta, ma diventa, piuttosto, legittimo sollevare una questione di metodo. In via generale, una personalità politica con incarichi istituzionali di rilievo – prima ancora di formulare giudizi nei confronti degli altri – dovrebbe fare una coscienziosa autocritica per valutare il proprio operato. Difatti vengono alla luce alcuni scenari non propriamente positivi. Quello più rilevante riguarda la gestione della sanità regionale. Come è noto, il presidente De Luca ha evocato a sé la funzione di indirizzo e coordinamento regionale, non nominando in Giunta un assessore alla sanità. Scelta particolarmente significativa, poiché intorno a tale funzione si intrecciano esigenze di competenza e di controllo oculato delle risorse finanziarie.

Inoltre, nei difficili anni passati, la gestione dell’epidemia di Covid è stata, sotto molti aspetti, opinabile e spesso in contrapposizione con gli indirizzi governativi. In quell’arco di tempo sono stati chiusi a Napoli cinque ospedali, che erogavano circa 250.000 prestazioni sanitarie all’anno. Di conseguenza si è verificato un enorme sovraccarico sull’ospedale Cardarelli e sull’Ospedale del mare con conseguente congestione dei servizi resi ai cittadini. Notizie tutt’altro che confortanti vengono dall’Agenzia nazionale per la sanità (AGENAS) che colloca le strutture ospedaliere regionali agli ultimi posti del Paese. Secondo il “Programma Nazionale Esiti” di Agenas quattro grandi ospedali regionali (Salerno – Ruggi D’Aragona, Caserta – Sant’Anna e San Sebastiano, Napoli – Azienda ospedaliera universitaria Luigi Vanvitelli, Benevento – Ospedale San Pio) non hanno raggiunto gli obiettivi minimi fissati.

Peraltro, non si è dato inizio alla costituzione di un’adeguata rete territoriale dei servizi sanitari. Di conseguenza, come era facilmente prevedibile, il già insufficiente numero di strutture – nella logica ospedalocentrica – è andato in progressivo affanno per l’enorme numero di richieste, con il risultato che le prestazioni si sono rivelate sempre più caotiche. A loro volta i tempi di attesa per esami specialistici e per interventi chirurgici sono diventati biblici. Mesi, se non addirittura anni, per accedere alle prestazioni pubbliche. Naturalmente a scapito della tutela della salute sancita dall’articolo 32 della Costituzione. Ben altre, a luce di quanto descritto, dovrebbero essere le preoccupazioni del presidente della Regione,  piuttosto che addossare responsabilità in modo generico e improprio.

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