MISERIA E NOBILTÀ AL TEATRO AUGUSTEO
Di Laura Caico
L’anteprima nazionale di “Miseria e Nobiltà” – la commedia in tre atti scritta in napoletano da Eduardo Scarpetta – in scena sino al 1 dicembre 2024 al Teatro Augusteo di Napoli con la Produzione Ente Teatro Cronaca, le musiche Stag, le scene di Roberto Crea, i costumi Milla, l’assistenza alla regia di Francesca Pelella, la direzione e l’ideazione scenica di Luciano Melchionna che ne ha curato l’adattamento con il Maestro Lello Arena non ha deluso le aspettative di chi aveva recepito l’aria di rinnovamento che sarebbe stata apportata da questa brillante coppia al testo datato 1887, gravato dal peso di quasi due secoli.
Il lavoro compiuto da Lello Arena e Luciano Melchionna sul testo di Scarpetta trascina letteralmente lo spettatore nella nostra attualità con molti riferimenti a costumi e malcostumi contemporanei, mostrando uno spaccato di vita che corrisponde molto alla realtà odierna: i nuovi poveri italiani e la crudeltà del sistema sociale che penalizza ulteriormente le classi meno abbienti, privilegiando i ricchi sono la sostanza del racconto che si adombra nelle figure di Felice Sciosciammocca – qui nelle vesti di scrivano acculturato, diversamente dalle altre farse scarpettiane in cui appare come mariuolo de ‘na pizza” o “guaglione ‘e n’anno” – e dei suoi parenti e amici. Tra questi, la litigiosa compagna Luisella, la ex moglie Bettina con il figlio Peppeniello, il fotografo ambulante Pasquale con la moglie Concetta e la figlia Pupella, il padrone di casa don Gioacchino, il cameriere Vincenzo: l’inganno ideato dal marchesino Eugenio Favetti che vuole sposare una ragazza di umili origini e non può contare sull’approvazione dell’aristocratico parentado prevede che la scalcagnata combriccola – in cambio di lauti compensi che migliorerebbero notevolmente le disastrate condizioni economiche – si presti a impersonare i suoi altolocati familiari ovvero il marchese Ottavio suo padre, il principe di Casador suo zio, la contessa Del Pero sua zia e la contessina Del Pero sua cugina, da presentare a Gaetano Semmolone cuoco arricchito e padre della ballerina Gemma sua fidanzata, che pretende di conoscere la famiglia del futuro genero, di per sé assolutamente contraria alle nozze del nobile rampollo con una plebea. Luigino, altro figlio di Gaetano Semmolone e innamorato di Pupella provvederà a sistemare i debiti dei poverelli, tirandoli fuori da situazioni ormai al limite della sopravvivenza e della carcerazione per debiti.
La maschera teatrale che regge le sorti dello spettacolo è Felice Sciosciammocca interpretato da un ottimo Massimo de Matteo – che vanta sei lustri di lavoro sulle scene teatrali e partecipazioni a note fiction televisive – attorniato da una compagnia di attori molto bravi e ben inseriti nel loro ruolo, tra cui Ingrid Sansone, Raffaele Ausiello, Chiara Baffi, Marika De Chiara, Andrea De Goyzueta, Renato De Simone, Valentina Elia, Alessandro Freschi, Luciano Giugliano, Irene Grasso, Raffaele Milite, Fabio Rossi.
Il punto focale della commedia è la fame – che di volta in volta si svela come fame di cibo che spinge delle persone di modesta estrazione a fingersi quel che non sono, la fame di bellezza e di cultura che lo squattrinato scrivano coltiva nel suo animo, la fame di giustizia ed equità che sottende tutto il testo – che però non sarà placata da un imbroglio ma porterà comunque a rivelazioni, abbandoni e riconciliazioni, acquietando molti appetiti.
Il travestimento dei poveri in “finti nobili” che cercano di emulare dei modelli arcaici dell’aristocrazia per ottenere vantaggi attraverso l’inganno, può assurgere a metafora del mondo al tempo di Internet quando ci si può nascondere dietro un computer per assumere false sembianze, liberarsi della propria identità, diventando capaci di compiere azioni anche negative, riprovevoli o inconfessabili: la scenografia presenta degli elementi molto interessanti con due ambientazioni diverse, il tugurio sotterraneo in cui si aggirano all’inizio i personaggi (che serve a dimostrare la loro povertà e che corrisponde ai “vasci” napoletani) e un palazzo che ha delle vestigia di lusso ma manca del pavimento che viene costruito di volta in volta, aggiungendo tasselli man mano che la storia va snodandosi. Il nucleo comico della vicenda rimane intatto suscitando risate e applausi a scena aperta ma il progetto che sottende al lavoro di modernizzazione operato da Arena e Melchionna inserisce nella tradizione napoletana della commedia infiltrazioni contemporanee come gli accenni ai migranti, metafora di chiunque sia imprigionato nelle maglie della povertà e serve a far riflettere il pubblico sul tema della miseria, della fame, della paura del futuro che spinge intere popolazioni ad abbandonare la propria patria in cerca di un futuro vivibile, dei giochi di potere che – in vario modo e in varie parti del mondo – condizionano le sorti di una moltitudine di derelitti: è un incoraggiamento ad approfondire le problematiche dell’universo che ci circonda, ad essere più consapevoli delle fortunate condizioni in cui si vive nell’occidente del mondo. Guardandosi intorno con occhi attenti si può capire realmente quanto le condizioni di indigenza possano mortificare l’animo umano (e possano produrre poi, in situazioni diverse, anche atti di violenza, di disperazione e di morte) rendendolo privo di identità, un numero indistinto fra tanti altri: non è questo il caso della storia narrata, ma ci sono tutti i prodromi di una riflessione attenta, puntuale e, fortunatamente, non del tutto pessimistica sul futuro della nostra società.