Ridotto contenuto di solfiti: esame superato per i vitigni autoctoni della Costiera Amalfitana. Gli studi della Federico II confermano la buona tenuta delle uve con piccole dosi di SO2
Concluso positivamente il progetto Vi.B.Ri.S. con la sperimentazione sui vitigni Fenile, Ripolo, Ginestra e Pepella. Presentati ad Amalfi i dati del progetto, cofinanziato dal «Gal Terra Protetta», a cui partecipano cinque aziende della Costiera Amalfitana promotrici del progetto
Si è concluso positivamente il progetto sperimentale per dare vita in Costiera Amalfitana a vini bianchi longevi e di elevata qualità sensoriale attraverso nuovi metodi scientifici di trasformazione delle uve provenienti da vitigni a piede franco e che prevedono un ridotto contenuto di solfiti.
L’esame per I vitigni Fenile, Ripolo, Ginestra e Pepella è stato ampiamente superato come confermano gli studi prodotti dalla Sezione di Scienze Enologiche del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II che ha analizzato i nettari prodotti da cinque aziende della Costiera: Cantine Marisa Cuomo, Marisa Cuomo Società Agricola, Azienda Agricola Reale, Cantine Giuseppe Apicella, Azienda Agricola Tagliafierro Raffaele.
L’iniziativa, promossa dalle cinque aziende della Costiera in collaborazione con l’Università Federico II e cofinanziata dal Fears – Psr Campania 14/20 Gal Terra Protetta, ha interessato le tre sottozone della Dop Costa d’Amalfi (Furore, Tramonti e Ravello) e in particolare quattro vitigni autoctoni vinificati prima a zero conservanti e successivamente con piccole dosi di solfiti.
«La riduzione delle dosi di SO2 in vinificazione è una tematica estremamente sentita dall’industria enologica – hanno spiegato i componenti del comitato scientifico nel corso della presentazione dell’attività di ricerca scientifica svolta nell’ambito del Progetto V.I.B.R.I.S. – Tuttavia, considerando le azioni protettive svolte dall’SO2, antimicrobica e antiossidante, l’effetto della sua eliminazione dal processo di vinificazione o della riduzione delle dosi può incidere negativamente sulla qualità del vino. Pertanto, protocolli di vinificazione alternativi “no-sulphite” o “low-sulphite” vanno sviluppati e valutati attentamente mediante un approccio scientifico».
Nel corso del progetto è stata effettuata inizialmente un’approfondita analisi delle uve (tutte provenienti dalle quattro varietà oggetto di studio) e successivamente, nel primo anno di progetto un protocollo di vinificazione convenzionale con aggiunta di solfiti è stato confrontato con un protocollo alternativo che non prevedeva alcuna addizione di conservanti, ma in cui sono stati utilizzati additivi e coadiuvanti di origine naturale ad azione antimicrobica e antiossidante come chitosano di origine fungina, lieviti inattivi ricchi in glutatione, tannini enologici.
«I vini prodotti sono stati analizzati da un punto di vista chimico e sensoriale – hanno spiegato Martino Forino (Professore Associato del dipartimento di Agraria), Angelita Gambuti (Professore Associato del dipartimento di Agraria) e Maria Tiziana Lisanti (Ricercatore a tempo determinato del dipartimento di Agraria) che insieme a Luigi Moio (Professore Ordinario del dipartimento di Agraria) e Nicola Matarazzo (economista, responsabile tecnico scientifico) componevano il gruppo di lavoro di ampio spessore tecnico-scientifico – Le analisi chimiche hanno mostrato che l’azione dei coadiuvanti alternativi utilizzati ha sortito l’effetto desiderato, ma i livelli di protezione dal rischio ossidativo a carico della materia colorante dei vini era inferiore a quella dell’SO2. L’analisi sensoriale ha messo in evidenza la comparsa di difetti d’ossidazione nei vini prodotti con protocollo alternativo. Sebbene tali difetti fossero di debole intensità, considerando la loro azione mascherante sull’identità sensoriale del vino e le potenzialità qualitative delle varietà considerate nello studio, si è ritenuto opportuno modificare il protocollo alternativo senza solfiti aggiunti, prevedendo l’aggiunta di una piccola dose di SO2 alla sfecciatura, in modo da aumentare la protezione antiossidante. I risultati delle analisi chimiche e sensoriali dei vini sperimentali hanno mostrato che il protocollo alternativo a ridotta dose di solfiti aggiunti è stato in grado di superare le criticità rilevate nel primo anno e di produrre vini di buona qualità sensoriale».
Il progetto realizzato in Costiera Amalfitana è stato supportato per favorire una viticoltura che tuteli e valorizzi la biodiversità locale e la salute dei consumatori, peraltro in un periodo in cui la tendenza globale è sempre più quella di un ritorno ad una enologia “leggera”.
Vi.B.Ri.S. (Vini bianchi a ridotto contenuto di solfiti, longevi e di elevata qualità sensoriale), un progetto di cooperazione che ha l’obiettivo di rafforzare e consolidare le reti relazionali tra i soggetti del sistema della conoscenza, si è posto l’obiettivo di promuovere la diffusione dell’innovazione nella filiera vitivinicola del territorio del Gal Terra Protetta, selezionando, tra i vitigni nativi dell’area quelli adatti a una viticoltura intelligente e sostenibile.
Ora, sulla base dei risultati ottenuti per ciascuna varietà di uva è stato elaborato uno specifico protocollo sperimentale di vinificazione capace di garantire un prodotto di alta qualità e longevo. I risultati confluiranno nell’elaborazione di linee guida per la produzione di vini bianchi di elevata qualità a ridotto contenuto di solfiti, che sarà disponibile per tutti i produttori dell’area.«La produzione di vini di alta qualità e con basse concentrazioni di SO2 risponde alle richieste dei consumatori, sempre più attenti all’aspetto salutistico e alle pratiche vitivinicole ecosostenibili, contribuendo alla crescita di valore del comparto vitivinicolo locale, fortemente piegato dalla crisi pandemica dovuta al Covid19 – spiega Nicola Matarazzo, responsabile scientifico del progetto cofinanziato dal Fears – Psr Campania 14/20 nell’ambito della Misura 19 destinata allo sviluppo locale di tipo partecipativo, Gal Terra Protetta – Gli esami prodotti nel corso dello studio avranno sicuramente delle vantaggiose ricadute sulle aziende vitivinicole presenti sul territorio – prosegue Matarazzo – Innanzitutto con le conoscenze scientifiche in termini di profilo metabolico delle uve a bacca bianca storiche della Campania oggetto di studio (Fenile, Ripoli, Ginestra e Pepella) e dei vini bianchi da esse prodotti. Ora tutti i produttori hanno a disposizione dati e processi in grado di incrementare immagine e reputazione delle loro produzioni e del territorio».