© ivan nocera per teatro di napolii

comunicato stampa

AL TEATRO SAN FERDINANDO
da giovedì 16 a domenica 26 gennaio 2025
debutta in prima nazionale il nuovo spettacolo
scritto e diretto da Vincenzo Pirrotta

PRIGIONI
con

Filippo Luna (I piaceri della carne), Vincenzo Pirrotta (Altavilla Milicia)

Manuela Ventura (Allucinazioni ipnagogiche)

Anna Bocchino (Ne vale la pena), Nicola Conforto (Hikikomori)
Eleonora Fardella (La ragazza e il mare), Alfredo Mundo (Anima napoletana)
musiche originali composte e suonate dal vivo da Serena Ganci

Dopo il successo riscosso la scorsa Stagione con Storia di un oblio, l’artista palermitano Vincenzo
Pirrotta torna al Teatro San Ferdinando dove dal 16 al 26 gennaio presenta in prima assoluta –
su produzione del Teatro Nazionale di Napoli – lo spettacolo Prigioni di cui è autore, regista e
anche interprete accompagnato da Filippo Luna, Manuela Ventura, Anna Bocchino, Nicola
Conforto, Eleonora Fardella, Alfredo Mundo.
Sullo spettacolo
«Prigioni è un intreccio di storie di segregazione, di sofferenza, di disagio, di dolore tanto chiare e
invincibili per i protagonisti quanto indecifrabili e oscure per chi gli sta accanto.
Una ragazza narcolettica racconta la sua tormentata vita quotidiana e il patimento delle
allucinazioni ipnagogiche, che si verificano nei primi momenti del sonno: deliri riguardanti ladri,
alieni, demoni, mostri e tutto ciò che terrorizza di più la nostra immaginazione.
Un hikikomori rinchiuso nella sua stanza da sette anni rifiuta il contatto con il mondo reale ma ne
costruisce giorno per giorno uno tutto suo, fantastico e abitato da personaggi irreali che però
rappresentano, ognuno, una faccia orribile dei mali del mondo, dei mostri che danzano nella sua
mente. Una donna racconta cosa significa professare una fede fino al martirio. Un fanatico
religioso ossessionato dalla convinzione che il diavolo si stia mangiando la sua famiglia, aiutato da
due adepti di una setta, uccide la moglie e i suoi due figli dopo averli torturati in un delirante rito di
purificazione.
Un cardinale che ha vissuto tutta la sua vita nell’estasi del suo ministero, sfidando il divieto, non
rinuncia ai piaceri della carne e vive la sua esistenza sentendosi continuamente inchiodato al suo
peccato. Una ragazza con lo sguardo rivolto al cielo stellato d’una sera estiva calda e afosa, col
suo vortice di parole segnate dal dolore, ci fa precipitare nel dramma che hasubito, svelando,
come in un rosario in cui si declinano i misteri dolorosi, che i dolci raggi di quelle stelle sono in
realtà graffi violenti sulle sue carni.
Storie che si dipanano in uno spazio dominato da sostegni in ferro dai quali partono corde che
creano un ring, un intrico somigliante a un’immensa ragnatela. Un intrico che, dà, icasticamente, il
senso della prigione ma anche di un’incombente tela di ragno che avvinghia con le sue spire. Gli
attori si muovono negli spazi vuoti, vagando tra queste viscere inquietanti illuminate di taglio e di
controluce».
Vincenzo Pirrotta

TEATRO SAN FERDINANDO |Piazza Eduardo De Filippo 20
dal 16 al 26 gennaio 2025
in prima assoluta
PRIGIONI
testo e regia Vincenzo Pirrotta
con
Filippo Luna I piaceri della carne | Vincenzo Pirrotta Altavilla Milicia
Manuela Ventura Allucinazioni ipnagogiche | Anna Bocchino Ne vale la pena
Nicola Conforto Hikikomori | Eleonora Fardella La ragazza e il mare
Alfredo Mundo Anima napoletana
musiche originali composte e suonate dal vivo da Serena Ganci
aiuto regia Nancy Lombardo | spazio scenico Vincenzo Pirrotta, Mauro Rea
costumi Roberta Mattera | disegno luci Ciro Petrillo
direttore di scena Nicola Grimaudo
capo macchinista Nunzio Romano | datore luci Enrico Giordano
fonico Daniele Piscicelli | foto di scena Ivan Nocera
disegno di locandina Francesca Nicodemo
una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
ufficio stampa
Sergio Marra | responsabile
s.marra@ teatrodinapoli.it | tel. 081.5524214 (int.110)
Valeria Prestisimone
v.prestisimone@ teatrodinapoli.it | tel. 081.5524214 (int.111)
durata spettacolo 1h e 20’
Calendario rappresentazioni
16/01/2025 ore 21.00 prima
17/01/2025 ore 21.00 |18/01/2025 ore 19.00 |19/01/2025 ore 18.00 | 21/01/2025 ore 21.00
22/01/2025 ore 17.00 | 23/01/2025 ore 19.00 | 24/01/2025 ore 21.00 | 25/01/2025 ore19.00
26/01/2025 | ore 18.00
info teatrodinapoli.it
Teatro San Ferdinando | Piazza Eduardo De Filippo 20, Napoli
biglietteria tel. 081.292030 / 291878 | e-mail: biglietteria@ teatrodinapoli.it
Orari biglietteria: lunedì > venerdì dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 14.00 alle 18.00
sabato dalle 10.30 alle 13.30
e, sempre, da un’ora prima dello spettacolo
domenica chiusa.

Ognuno di noi è più d’uno, è una prolissità di sé stesso
di Vincenzo Pirrotta

I mali che fuggi sono in te
Seneca
«Ancora una volta nel mio lavoro mi accingo a elaborare, formalizzandola in teatro questa volta,
una riflessione dolorosa che deriva dall’osservazione delle lacerazioni introspettive dell’uomo,
dalle sue inquietudini trasformate in delirio di violenza, dagli enigmi della sua coscienza,
percependo, nei casi borderline che ho deciso di raccontare in Prigioni, il tentativo di una via di
fuga che non sempre, anzi molto spesso prorompe in atti impetuosi.
Come si può intuire le prigioni di cui mi occuperò non sono fatte di sbarre e muri, anche nei casi in
cui, come in uno dei nostri segmenti dis-umani, i contenimenti fisici ci sono e drammaticamente
reali, fatti di lamiere arrugginite e di catene pesantissime.
È una riflessione che mi porto dentro da molto tempo ormai e difatti molte volte nella mia testa
l’idea di Prigioni ha assunto forme di messinscena che sono mutate nel tempo via via che il
travaglio delle mie osservazioni si trasformava, incontrando, con una vera e propria ricerca sul
campo di tipo antropologico, esistenze legate a forze mentali e schiavitù di anime angustiate.
Ecco perché intendo Prigioni come una rappresentazione sempre viva e mutevole: è come se la
forma teatrale che accoglie le storie che ci facciamo carico di testimoniare, con tutti gli artisti
coinvolti, fosse un luogo di passaggio, una sala d’attesa abitata ora da queste sei vicende umane,
ma con la porta spalancata e attraverso cui possono passare altre anime, siano esse perse,
maledette o in cerca di una possibile salvezza.
«Impossibile sapere perché un’idea si impadronisca di noi, per non mollarci più. Si direbbe che
sorga dal punto più debole della nostra mente oppure, più precisamente, da punto più minacciato
del nostro cervello». Questa frase del filosofo romeno Emil Cioran mi è risuonata subito alla mente
dopo aver appreso la tragedia che si è consumata all’interno della villetta di Altavilla Milicia vicino
Palermo. Ho immaginato l’angoscia e la disperazione di una madre e dei suoi figli torturati uccisi e
bruciati, vittime di un’ossessione, prima che della ferocia del loro padre e marito che, insieme alla
figlia e ad altri due complici, ha commesso il delitto che lui chiamava “sacrificio”, attraverso un rito
di “liberazione”. È una doppia prigionia che raccontiamo, quella delle vittime morte sull’altare di
una convinzione: «erano posseduti dal demonio», continuava a ripetere il loro padre e marito
carnefice, e quella della parte più minacciata del cervello di tutti gli adepti di un’idea che non li
mollava più, che li ossessionava. E ancora Cioran ci aiuta ad avvicinarci all’incomprensibile
angosciante: «Per gli ossessionati non c’è scelta: l’ossessione ha già scelto per loro, prima di
loro». Ma la “prigione” può essere dentro i nostri sogni.
Negli   studi   e   ricerche   che   mi   hanno   accompagnato   in   questi   anni   di   avvicinamento
alla “costruzione” dello spettacolo teatrale mi sono un giorno imbattuto in un bellissimo saggio di
Stefan Klein, filosofo e fisico di Monaco di Baviera: I sogni, viaggio nella nostra realtà interiore,
pubblicato nel 2016 in Italia da Bollati e Boringhieri. Attraverso Klein ho scoperto l’universo atroce
delle allucinazioni ipnagogiche, studiate e così chiamate dallo psicologo francese Alfred Maury,
esperienze intense che si verificano all’inizio di un periodo di sonno. Molte di queste esperienze
riguardano ladri, alieni, demoni o mostri vari. Tutto ciò che terrorizza di più la nostra
immaginazione. Scriveva Franz Kafka alla sua amica Milena Jesenská: «I sogni rimuovono il velo
della realtà a cui nessuna visione può essere paragonata. Penso che sia l’orrore della vita». E di
orrori nelle “nostre prigioni” ce ne sono e tutti ci scaraventano nell’abisso misero di una disumana
umanità: l’insopportabile martirio di una donna che non vuole abiurare alla sua fede o la terribile
notte vissuta da una ragazza stuprata da un branco di sanguinari feroci ragazzi in un luogo dove
anche il suono del mare lì vicino assumeva il ritmo di una spietata flagellazione.
Orrori dunque, ma anche solitudini, come quella di un ragazzo hikikomori, rinchiuso nella sua
stanza per sei anni, camera oscura che nel corso del tempo si è popolata di fantasmi. Un
fenomeno, questo, che in Italia sta raggiungendo numeri drammatici, come già nel 2015 ci
avvertiva l’antropologa Carla Ricci: «In Italia, il fenomeno hikikomori esiste ed è in crescita, sia per
alcune condizioni che lo rendono simile al Giappone: eccessiva protezione della famiglia,
narcisismo, stretta relazione madre-figlio, sia per le condizioni sociali che favoriscono uno stato di
incertezza, insicurezza e disorientamento, che, per chi è emotivamente più esposto, possono
rappresentare una spinta decisiva verso il ritiro».

La solitudine di un sacerdote inchiodato alla sua tonaca ma che sente addosso la colpa di
trasgredire al giuramento di castità vivendo nel delirio continuo del peccato di aver soddisfatto la
sua fame sessuale.
E gli splendidi versi di Giovanni Testori nel suo Nel tuo sangue, sono stati illuminanti e fonte
d’ispirazione:
M’aspetti nel buio
Come un’affamata prostituta,
come un ladro m’azzanni
nei riposi difficili e ansiosi.
Mi riporti nel letto privo ormai di lui
Le Tue stigmate affrante.
Che cosa mi domandi?
Che accetti di baciarle,
come facevo sul suo ventre
di figlio delicato,
sulla sua carne
d’arcangelo rubato?
L’ossessione, il pensiero, il delirio, il sogno, l’incubo e dunque la mente e lo spirito che guidano
l’universo amarissimo e impietoso, che convochiamo nel palcoscenico e proprio per questo che
però c’è la carne che si fa vessillo tangibile, totem, simulacro pulsante nel caldo dei corpi, nelle
danze spietate a volte brutali che rappresentano, anche nei canti dolenti e tormentati, il coro di
un’umanità imprigionata, legata, incordata e che cerca attraverso l’urlo teatrale di trovare la strada
d’una agognata libertà che esiste, o forse no, al di là della quarta parete».

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