A Napoli il caffè non è una bevanda.
Michele Caccamo commenta l’ultima inchiesta di Report
Con il loro pensiero ordinario hanno provato a raccontare cos’è il caffè a
Napoli, senza riuscirci. Hanno provato a giudicare una religione con il
righello del laboratorio. A quelli di Report sia detto senza dubbio: Napoli
non ha bisogno di lezioni sulla sua nera poesia liquida, perché è stata
capace di trasformarla in arte. Ridurre questa tradizione a un banale,
quanto inutile, discorso sulla miscela, sulla tostatura, o sulla preparazione,
è come dire che la pizza altro non è che acqua e farina, dunque facile,
dunque alla portata di chiunque. A Napoli il caffè è una scienza sociale. La
“cuccuma”, la moka, il bar: ognuno ha un ruolo fondamentale nel
preservare un rito. Criticare senza capire il valore storico e simbolico
dimostra solo la volontà di killerare ancora una volta la Città. Nel servizio
si affermava che molte miscele utilizzate nei bar siano di bassa qualità,
senza comprendere che il caffè napoletano è fatto per piacere ai napoletani
non per rispettare i criteri di qualche indicazione da manuale. La tostatura
scura è una scelta precisa, una dichiarazione di intenti: qui si ama il sapore
forte, deciso, perché deve svegliare l’anima prima ancora che la mente. E
poi c’è il valore sociale del caffè. A Napoli è sinonimo di ospitalità, di
accoglienza, di solidarietà. Il “caffè sospeso” succede a Napoli, nel suo
disordine, nella sua irregolarità, perché qui bere un caffè è molto di più di
un piacere personale, è un atto d’amore. Così come è un atto d’amore e di
salvezza la scelta di “baristi” senza formazione adeguata, maltrattati, dalla
trasmissione televisiva, per la loro innocenza. La preparazione del caffè
non è schiacciare un tasto, è riconoscere il cliente, il suo umore, le sue
pene, capire se è il momento giusto per una battuta, una parola in più, o per
un sorriso. Demonizzare, come ha fatto Report, chi lavora con passione e
sacrificio è un atto miope. Sarà anche corretto che i “baristi” a Napoli sono
imperfetti, ma sono veri. E infine i “poveri” produttori, Kimbo,
Passalacqua, Brasilera, da sempre ambasciatori di un’identità, costretti a
subire giudizi sommari, a essere liquidati da un naso sopra a un chicco. Il
caffè a Napoli è un’essenza di gusto e bellezza, un’esperienza che
trascende dal palato e arriva al cuore. Ogni sorso è un dialogo tra chi lo
prepara e chi lo beve, un incontro tra la tradizione e il presente, è un
simbolo universale di umanità, un rito che ci ricorda la nostra
vulnerabilità.
A Napoli, il caffè non è una bevanda, è un atto filosofico. Qui non basta
schiacciare un tasto per fare un caffè, anche perché nessuno lo berrebbe.
MICHELE CACCAMO: Scrittore, poeta, paroliere e drammaturgo
italiano, le sue opere sono state tradotte in oltre dieci lingue.