Vi racconto Ludwig Van Beethoven
Come spesso ho avuto modo di scrivere e raccontare, sono erede di una famiglia che amava l’arte: teatro, musica, lirica, Mio padre e mia madre amavano la lirica ed erano appassionati di Puccini ed accesero anche in me la grande passione lirica e l’amore per Puccini. Mio padre, tra l’altro, prediligeva il teatro, il ballo, ed il suo idolo era Fred Astaire, del quale conosceva tutti i film e le coreografie che, con piccole modifiche eseguiva, in compagnia delle sue dame, nelle serate danzanti, presso la scuola Masella. Pian piano mi sono poi appassionato alla musica sinfonica, ed ho da subito amato Beethoven ascoltando la quinta sinfonia a 14 anni. Ho poi, approfondito la conoscenza della lirica e della musica sinfonica frequentando il San Carlo, l’auditorium Rai di Napoli, l’auditorium del conservatorio San Pietro a Majella, acquistando i famosi LP delle celebri nove sinfonie, ascoltando il Fidelio, Coriolano, le Creature di Prometeo e la produzione sacra. Ed ancora oggi, dopo aver ascoltato i maggiori autori di tutti i tempi, Beethoven resta il mio preferito. Su questa gigantesca figura sono stati scritti interi e numerosi volumi e da personaggi insigni che hanno lasciato la loro traccia sia in campo letterario che musicale. Lo stesso Wagner fu autore di un volume filosofico riguardante la musica la filosofia e la personalità di Beethoven. Elencarli tutti è impossibile. Si può affermare, senza ombra di dubbio, che ogni artista, nell’arco della storia, ha voluto offrire un omaggio al grande maestro con uno scritto. Ludwig van Beethoven nacque a Boon il 16 dicembre del 1770 da una famiglia di origine fiamminga. Il padre era un tenore di non molto valore ed alcolizzato. La madre, modesta donna di casa adorata dal grande figlio. Ancora piccolo il padre gli imponeva lo studio della musica facendolo restare per ore ed ore a studiare contro la sua volontà. All’età di undici anni era già suonatore in orchestra. Ben presto perdette la madre e di questa perdita ne risenti atrocemente. Dopo poco perdette il padre e si trovò capo della famiglia, aveva due fratelli. In questo clima malinconico gli fu di aiuto e conforto la protezione della famiglia Breuning, della quale faceva parte la giovane Eleonora che Beethoven iniziò alla musica. Più tardi, quando la ragazza andò in sposa, ella ed il suo consorte furono gli amici più inseparabili del grande maestro restandogli accanto fino alla morte. Nel 1787 Beethoven fece il suo primo viaggio a Vienna dove ebbe modo di conoscere Mozart; ma ben presto dovette tornare a Boon, ed improvvisamente per la morte della madre. Grazie all’ammirazione del conte Waldstein, pote` essere inviato a Vienna per prendere lezioni da Haydn: ma le lezioni ebbero breve durata in quanto i caratteri dei due erano in netta contrapposizione; troppo innovatore l’allievo per poter essere compreso dal maestro. Beethoven aveva già avuto modo di conoscere Haydn, quando questi passando per Boon, di ritorno dall’Inghilterra, ebbe modo di esaminare una cantata che B. gli presentò e che fu molto lodata dal maestro. Forse proprio in merito a queste lodi il conte pensò bene di inviarlo a Vienna. Beethoven restò a Vienna per tutta la vita. I principi ospitarono Beethoven nel loro palazzo dove ebbero luogo le prime esecuzioni delle sue opere. L`Arciduca Rodolfo d`Austria, divenne ben presto, protettore di Beethoven, e suo allievo, essendo egli amatissimo di musica. B. ricambiò la protezione e la stima dedicandogli alcune opere, e componendo per la sua assunzione alla dignità ecclesiastica, infatti divenne più tardi Cardinale, la messa solenne, la composizione che riteneva suo capolavoro. A Vienna, la sua fama incominciò a farsi largo, e il suo genio a mostrarsi nella sua maestosità. Nel mondo musicale molti gli erano ostili. La fama e la gloria fu conquistata da lui quasi con prepotenza come qualcosa che gli spettava e che doveva avere. Molte sue opere però, per alcuni anni suscitarono l’incomprensione della critica. Egli non si curava di quanto si diceva oppure ricambiava con sarcasmo, rispondendo: : “La puntura di una mosca non può fermare la corsa di un cavallo focoso.” Pur restando incompreso dalla critica egli diventa celebre. I suoi concerti diventano molteplici i suoi guadagni elevati, ma per la sua generosità resterà sempre privo di ogni sicurezza finanziaria e negli ultimi anni arriverà alla miseria. Ecco come veniva descritto fisicamente: “Era piccolo e tozzo, dal collo grosso e dall’ossatura atletica. Aveva il viso largo, color rosso mattone, tranne che verso la fine della vita, quando gli venne un incarnato malaticcio e giallastro, soprattutto d’inverno, che doveva starsene chiuso in casa lontano dai campi. La fronte era potente e rilevata; i capelli estremamente neri, irti e spessi, tanto che sembravano non esser stati mai pettinati; “veri serpenti di medusa.” Gli occhi gli brillavano di una forza maestosa che afferrava tutti quelli che l’avvicinavano.” Beethoven senza dubbio è uno dei più grandi geni che l’umanità abbia mai prodotto in campo musicale. La sua musica sfiora e sorpassa ogni barriera dei sentimenti umani dandoci la consapevolezza di vivere istante per istante la sua tormentosa vita. Se B. avesse voluto riunire tutta la sua produzione musicale in un unico volume non avrebbe potuto intitolarla che: “diario della mia vita”. Come il poeta mette in versi quelli che sono i suoi sentimenti; le sue sensazioni; le sue aspirazioni; cosi il musicista di pari mette in quelle piccole note, tutta la sua espressione, trascendendo il linguaggio comune a tutti. Nel caso di B. la sua musica è il percorso della sua intera vita. Ogni attimo è la che si presenta vivo ogni qualvolta noi ci avviciniamo ad ascoltare quella meravigliosa sublime musica. Le sinfonie: che tutto esaltano, tutto circondano di dolcezza e amore. A questo aspirava B. alla dolcezza, all’amore puro. Egli stesso era un puro. E non bisogna interpretare in senso negativo l’affermazione del maestro sul fatto che l’uomo deve mantenersi puro fino alla morte per sentirsi senza peccato. Questa affermazione non è di un anormale ma di un filosofo, di un poeta che vede la vita diversa dalla comune gente, egli è superiore agli altri e non per questo di facile contestazione. Sappiamo che B. aspirava all’amore puro all’amore ideologico. Di se non amava dire: comporre, ma amava dire poetare e, basta questa affermazione: “poetare” a farci capire di quale forza poetica fosse carico egli. B. era un filosofo, un profondo filosofo nel senso più ampio di questa espressione. Era filosofo non per aver letto ed assimilato testi di Platone, Aristotele Hegel, e di altri grandi pensatori, ma era filosofo nel suo pensare; nel suo agire; nel suo saper accettare le contrarietà della vita. B. non diventerà mai schiavo di qualcuno. Pur ottenendo favori dai nobili egli quando avrà l’opportunità di dire la sua parola, cosi come egli la sente, non oserà porre moderazione a quanto sta per dire. La tragedia della sua vita ha inizio nel 1801 quando egli diventa sordo. Lo stato d’animo di B. al riguardo è documentato dalle sue lettere, dai suoi celebri diari, o meglio i quaderni di conversazione che lasciano nell’animo di ognuno che li legge, una profonda malinconia che fa dimenticare tutto e ci trasporta lontano dalla realtà. Nella celebre lettera che egli inviò ai suoi fratelli confessa di essere arrivato all’idea del suicidio. Ma con coraggio supera questi attimi di profondo sconforto e si tuffa nella sua arte. Partecipa ancora, per quanto gli è concesso dalla sua infermità, a qualche concerto, come suonatore, e rinunciandovi quando la sordità sarà completa. A questo periodo di sofferenze dobbiamo le sue più geniali composizioni, come le sinfonie, tra le quali spicca maestosa la Nona che ci mostra tutta la genialità di B. Pensate un pò un uomo sordo che riesce a comporre un opera gigantesca come la nona sinfonia!… L’udito spirituale di B. era pari alla sua genialità creativa. Ciò vale, naturalmente per tutte le sinfonie. La Pastorale questa suprema maestosa opera che racchiude in se, con somma maestria tutta l’armonia della natura, ci appare come l’opera di un essere al di sopra d’ogni cosa e d’ogni pensiero umano. In questa opera, come in tutte, è evidente il conflitto dell’uomo tra il bene e il male. Questa lotta perenne e mai definita. Quando noi sentiamo in questa opera i mormorii della natura festosa, felice, serena, che vengono sconvolti, trafitti da un improvviso temporale che tutto sconvolge ci sentiamo miseri di fronte all’ignoto, di fronte a ciò che ci riserva, sempre pronto, il destino. A questa sfida B. ha dedicato tutta la sua vita. E questa lotta noi la sentiamo, quasi la tocchiamo. E’ la stessa lotta di B. che si rinnova in ogni attimo della nostra esistenza. Senza dubbio la musica di B. è principio e fine. Egli fu il massimo esponente del classicismo tedesco e mondiale. Moralmente severissimo e di estrema delicatezza in tema femminile, B. desiderò ardentemente il matrimonio, ma per il suo carattere, per il suo fisico, per la sua tremenda sordità, dovette veder svanite tutte le sue speranze. La sua vita ha una corona di donne di tutte le età. Non mancarono quelle che lo compresero almeno dal punto di vista artistico. Cito ad esempio , tra le figure di altissima purità le Breuning madre e figlia, Bettina Brentano, colei che istitui i rapporti tra Goethe e Beethoven, e divise la sua vita nell’ammirazione più profonda per i due geni, tra quelle che B. pensò di sposare, Giulietta Guicciardi, Teresa Malfatti. Su tutte troneggia la immortale Amata la misteriosa destinataria di una lettera trovata in un cassetto segreto dopo la morte di B. Non si è potuto stabilire con certezza a chi fosse destinata la lettera che incomincia con le parole: “ Mio angelo, mio tutto mio io” e che termina: “oggi, ieri, quale ardente aspirazione, quante lacrime per te: tu, tu mia vita, mio tutto, addio. Oh, continua ad amarmi, non disconoscere mai il cuore del tuo amato L. Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri!”. Che dolcezza!. questo abbandono d’amore in B. è esempio di quanto fosse dolce, romantico il suo animo e sensibile il suo pensiero d’amore. Nell’autunno del 1808, Girolamo Bonaparte, propone a B. di trasferirsi in Germania con un onorario di 600 ducati d’oro. Per trattenere il maestro a Vienna, l’Arciduca Rodolfo, di contro si offre di versargli, vita natural durante, l’assegno annuo di 4000 fiorini. B. accettò con ammirazione l’offerta ma purtroppo per il persistere delle guerre Napoleoniche il fiorino fu deprezzato, e causa la morte di due principi che assieme all’Arciduca contribuivano al mantenimento di B. l’onorario venne in parte meno. Soltanto l’Arciduca continuava a pagare. Il periodo che va dal 1811 al 1815 segna il culmine della fortuna di B. Sono gli anni della riscossa anti-francese alla quale B. partecipa con la sua incomparabile arte. Nel settembre del 1814 a Vienna sono riuniti tutti i monarchi d’Europa. In quei giorni B. fu molto festeggiato e le sue opere eseguite davanti ad una platea di re. Nel 1815 il fratello Carlo muore lasciando un figlio anch’esso di nome Carlo. B. si affezionò talmente al ragazzo che approfittando della scarsa moralità della madre ne contese la tutela che la ottenne dopo una estenuante azione giudiziaria. Ma questo nipote non gli procurò che dispiacere e non fece altro che rafforzare i suoi dolori. I forti dispiaceri e le speranze svanite influirono sulla sua produzione musicale e da varie parti già si parlava di un B. finito. Ma la sua forza indomabile ebbe il sopravvento. Furono questi i tempi in cui nacquero la nona sinfonia, la Messa solenne, e gli ultimi cinque quartetti. Ben presto, alla sordità che lo teneva escluso dal mondo, che lo rendeva inquieto contro tutto e tutti, si aggiunse una serie quasi continua di mali dalla polmonite, alla gotta, dall’itterizia all’idropisia. La sua vita era diventata un tormento. Subi varie operazioni una dopo l’altra che gli consumavano ancora di più l’esistenza. Pur nella sofferenza egli afferma: attraverso il dolore si conosce la gioia. Ciò che distingue B. dagli altri musicisti è il fatto che egli non fu semplice musicista intento ad esprimere melodie ma anzitutto egli fu un pensatore, il quale adoperò l’arte non come fine ma come mezzo educato da un sistema di idee, da una concezione etica e filosofica della vita. Ecco perché B. è il Dante della musica, per aver adoperato l’arte come uno strumento didattico per diffondere una propria filosofia della vita. Ciò che Dante e` in poesia B. lo è in musica. Un altro aspetto importante nella personalità di B. è la sua cultura musicale. A differenza degli altri egli studiò, e molto attentamente e accuratamente i suoi predecessori. Dove studiò anche i grandi italici. Ne comprendeva il senso e la personalità ma rimaneva sempre estraneo a quello che poteva essere l’influsso musicale. Prima di tutto era ed è stato se stesso. La sua stessa vita lo distingue da quella degli altri musicisti. Le vite di un Bach, di un Mozart, di un Rossini, sono uniformi, spiritualmente ed intellettualmente. Non si può concepire Bach che sotto due aspetti: o quello del mistico continuamente rapito da Dio, al di la della vita umana, o quello del placido piccolo borghese la cui vita scorre tra l’organo e la famiglia. In contrasto con quella di Bach ma analoga dal punto di vista che a noi interessa, si può considerare quella di Mozart, il divino fanciullo la cui vita scorre tra donne e concerti, cosi come quella di Rossino scorre tra la tavola bene imbandita e il teatro. Anch’essi esprimono la gioia ed il dolore, anch’essi giungono alla Messa di Requiem o al Mose`, alle sublimità religiose, ma vi giungono con indifferenza per il contenuto. La loro sensibilità è tale da far si che essi possano esprimere qualsivoglia sentimento. B. invece e` un apostolo. Pur potendo farlo, egli rifiuterebbe per una determinazione morale di comporre il Don Giovanni. Prima del bello colloca il buono. La sua vita si immedesima con la sua arte cosi che la sua arte non si piega senza la sua vita. Negli nasce nel dolore, vive nella povertà, muore nella povertà e nel dolore. Il suo dolore diventato universale, fa si che egli si innalzi ad una missione: redimere l`umanita` dal dolore, lottare per conquistare la gioia. Ed ecco che egli, per la parte cantata della nona sinfonia musica l’inno alla gioia di Schiller. A chi gli chiese il significato delle note introduttive della quinta sinfonia egli rispose che erano i battiti del destino nella vita di ognuno. Fu questa sinfonia, cosiddetta del destino, che portò all’apice la popolarità di Beethoven. Essa suscitò tale entusiasmo che mai prima si era avuto in una pubblica esecuzione. Tutto il pubblico si alzò in piedi come un solo uomo ed intonava prima del finale la gaia melodia. La gente si strappava persino i capelli. Tutta l’opera di B. è impostata sulla concezione dualistica di una lotta tra il bene e il male, tra gioia e dolore, nella quale il male ed il dolore mentre sono manifestati con una profondità che nessun musicista ha mai superato, figurano eternamente sconfitti. Ma i nell’opera di B. trionfa il male o il dolore. Egli e` datore di forza per superare il dolore, elargitore di gioia. Qui bisogna soffermarsi per stabilire quale sia questa gioia. Egli non confonde la gioia con il divertimento, con l’oblio edonista. La gioia nella sua opera assume il significato trascendente di una rivelazione di Dio, di un itinerario alla perfezione divina, e` precisamente la gioia del paradiso dantesco alla quale non si giunge se non attraverso il patimento del dolore. Alcuni hanno voluto vedere degli accostamenti tra Leopardi e B. i due grandi interpreti del dolore, ma l’accostamento è lecito soltanto a patto di osservare che, mentre Leopardi non supera il dolore, anzi lo eleva a realtà suprema e universale e sparge l’ironia sui sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità B. si alza, sistematicamente, dal dolore alla gioia e tesse l’apologia della lotta, il trionfo dell’ottimismo. Nella Ginestra il dolore umano diventa il dolore universale; nella nona cede alla gioia universale. Ecco, dunque, il sistema di B. il motore di tutta la sua opera. LO si puo` definire platonico cristiano nelle idee plutarchiano nell’etica, Pur restando al di fuori da ogni influenza da parte dei due pensatori. A questa profondità di visione filosofica e morale si deve il fatto che la sua musica si solleva a rivelazione universale delle idee. Gli altri musicisti stanno a lui come i presocratici a Socrate e a Platone. Il minuetto di Haydn si trasfigura nell’apoteosi della settima, alla stessa guisa che gli atomi di Democrito si trasfigurano nelle idee di Platone. La grandezza di B; consiste nel fatto che, mentre la sua musica è come quella di Bach, ideale, trascendentale, metafisica, è radicata però anche nella realtà, nella verità quotidiana. Non è spirito staccato dalla materia, ma è materia fusa, plasmata dallo spirito, innalzata verso lo spirito ma che nello spirito porta echi e luci della materia. Proprio come Dante. L’arte di B. non è soltanto religiosa ma anche sociale. Il sublime si identifica col comune, il celeste con il terreno. È arte, quella di B. che vive nel popolo, che ne partecipa le piccole gioie, i comuni dolori quotidiani ed è capace di sollevarli, trasfigurarli a significato universale. Nell’antitesi dualistica di B. gioia e dolori, gli elementi dell’antitesi stessa sono talmente equilibrati da costituire un’altra notevole caratteristica del suo genio. La grazia, la forza. Il sorriso; la danza; il pianto; non appaiono mai isolati, ma si richiamano a vicenda, si intrecciano e si sovrappongono, rivelando in B. l’istintivo timore di essere unilaterale, il proposito di non dar modo all’ascoltatore di abbandonarsi ad un dato sentimento dimenticando gli altri. La musica di Beethoven è una pura filosofia che va interpretata secondo la sua giusta angolazione, chi non è capace di approfondire tale discorso, di rendersi partecipe della vita del grande genio, chi nella vita non ha provato quelle, sia pur piccole contrarietà quotidiane che tanto ci avviliscono ma che sono misera cosa di fronte al grande ignoto e di fronte ai grandi mali dell’umanità, non può e non potrà mai capire B. Ed è inutile che egli si sforzi, resterà sempre un sordo spirituale. La musica di B. in special modo quella sinfonica, è un continuo appello all’affratellarsi, al comune mistero dell’elevazione. Nessuno più di lui, più puramente di lui ha portato d’artista, nessuno ha più dolorosamente conquistato la propria umana dignità, ne ha contrastato l’insano destino con maggior forza, pur d’adempiere alla propria missione. Il ribelle slancio verso l’alto, il selvaggio senso d’indipendenza, la regale, inflessibile fierezza, l`umilta` davanti all’opera, l’incrollabile fanatica volontà di perfezione; la grandezza morale e spirituale; la tragedia del viver suo; da tutto ciò spira maggior forza che da qualunque altra figura umana; cosi arricchito ne è il senso della vita cosi immediato l’esempio di ciò che sia vera missione artistica, che la musica di questo immortale genio è divenuta per noi un inno all’esistenza. Basta pensare alla sopportazione del dolore più grande nella vita di B. per capire la sua grandezza e cioè: il giorno in cui c’erano le prove del Fidelio, B. sordo non del tutto, volle dirigere personalmente le prove. Purtroppo per la sua sordità, l’orchestra suonava per fatti suoi e i cantanti altrettanto cantavano per fatti loro. Nessuno osava dire nulla. L’impresario, chiamò un amico di B. e gli chiese di dire al maestro di lasciare il posto ad un altro. Fu tale il dolore del maestro che rimase in casa per vari giorni senza toccare cibo. Ed anche questa contrarietà fu sopportata e poi superata con rassegnazione. Fa tenerezza pensare al giorno in cui ci fu la prima rappresentazione della nona sinfonia e B. tra gli orchestrali era rivolto con le spalle al pubblico. Al termine dell’esecuzione tutto il pubblico era in delirio e gridava il suo nome, ma egli sordo, restava immobile al suo posto. Uno dell’orchestra gli si avvicinò, lo fece alzare e lo voltò verso il pubblico egli, vedendo quel pubblico che manifestava tutta la sua simpatia ed ammirazione non potè fare altro che piangere. Se noi prendiamo ad esempio B. tutto ci sembra nulla in confronto. B. è il propagatore di un verbo ; egli non ci insegna soltanto a comprendere le bellezze della natura, non si limita ad interpretare, per noi, le gioie del nostro amore e ad accrescere la capacità dei nostri sensi. Egli nobilita il nostro animo. Il conforto che egli versa nella nostra anima è indescrivibile. Se percorriamo un nuovo cammino se siamo travolti dall’ansia di sollevarci, di divenire migliori, egli è la che ci precede come la colonna di fuoco indicatrice. Egli era noi prima che noi fossimo, sarà noi dopo che noi saremo scomparsi, sempre presente, interprete eterno dei nostri effimeri palpiti, della nostra fede nell`umanità, della nostra speranza in opera di bene. L’armonia della sua musica prima ancora di essere musica è armonia spirituale e morale; prima di essere artistica è sacerdotale, prima di essere filosofica è rivelatrice. B. ormai vecchio e malato non può che attendere la morte nella sua modesta dimora. Il suo letto è infestato di cimici. Nessuno più lo va a trovare, egli è solo. Gli aiuti da lui invocati furono scarsi. Ma negli ultimi due giorni, due doni alleviarono le sue ansie. Il 24 marzo egli ricevette i sacramenti e firmò per il suo editore il suo ultimo quartetto n. 131. Mori il giorno 26 marzo. I funerali furono solenni. Otto musicisti reggevano i cordoni, tra di essi vi era Schubert, seguivano musicisti, scrittori, poeti. La partecipazione spontanea del popolo rese ancora più solenne i funerali, circa ventimila il numero delle persone. Durante i funerali uno sconosciuto chiese ad una vecchietta chi fosse il defunto per il quale tutto quel popolo si era mosso. Essa rispose: “bisogna che sia di ben lontano, altrimenti saprebbe che è morto il generale dei musicanti”. Quando il maestro stava per dare il suo addio al mondo terreno, e in quello istante infinitesimale, proferi quelle brevi parole: “ è la fine della commedia”, facendo capire che la vita non è che una farsa, una commedia tra le più bizzarre, un terribile temporale si abbattè sulla città, come a simboleggiare il grande e poetico temporale della sesta sinfonia. Cosi B. diede il suo addio al mondo terreno. Alla sua morte, tutto il patrimonio della sua produzione fu venduto dal fratello avido di soldi senza che nessuno si prestasse a difendere quel patrimonio. Dopo tre mesi B. era completamente dimenticato da tutti.Gennaro D’AriaFoto archivio D’Aria |
GENNARO D’ARIA