“ARTE DE FURTAR”, UN MANUALE SUGLI
INGANNI
Di Laura Caico
Nel Salone della sede napoletana delle Gallerie d’Italia, in
Via Toledo, si è svolta la presentazione del libro edito da
Liguori “Arte de furtar”, traduzione integrale in italiano – a
cura di Maria Luisa Cusati Console onorario del Portogallo
- di un’opera del Seicento portoghese scritta dal padre
gesuita Manuel da Costa ( 1601-1667 ), espressione
emblematica della Restaurazione, fiore all’occhiello della
letteratura portoghese su usi, costumi e malcostumi di un
periodo che comprende tre secoli, dal XVI al XVIII.
E’ una bizzarra guida e introduzione all’arte di rubare
senza “farsi cogliere in flagrante”, un manuale preciso e
puntuale “su tutte le forme del furto, specchi di inganni e
teatro di verità”: per la prima volta i lettori del Bel Paese
potranno recepirne “gli insegnamenti” nella propria lingua e
comprendendone l’ironia, trarne le debite conseguenze….
Quest’opera venne redatta nel 1652 come dono al re João
IV D. (ma conobbe la prima edizione un secolo dopo, nel
1744, a Lisbona grazie al libraio genovese João Baptista
Lerzo che lo stampò nella sua tipografia a Largo de
Camões) con l’intento – ben dichiarato nella presentazione - di “preparare un Grimaldello Generale che permettesse al
Re di conoscere – e quindi correggere – quanto si verificava
nel suo regno. Porterà in scena innanzi tutto la verità
mostrando gli inganni come in uno specchio. Affida il tutto
alla saggezza e al potere del Re chiedendo il castigo per i
ladri e la difesa per se’stesso. Solo con la protezione reale
potrà sentirsi sicuro! Un’opera di grande raffinatezza
stilistica ed eleganza linguistica che ci permette, spesso con
ironia, uno sguardo attento a una realtà che resta sempre di
straordinaria modernità”.
Dopo il Saluto di S.E. Bernardo Futscher Pereira
Ambasciatore del Portogallo in Italia, il giornalista e
scrittore Ermanno Corsi ha brillantemente coordinato gli
interventi di Giovanni Muto, già ordinario di Storia
Moderna presso l’Università Federico II e del presidente
della Fondazione Castel Capuano Aldo De Chiara
Presidente onorario di Italia Nostra Campania, che hanno
evidenziato una caratteristica del libro, la sua valenza di
specchio rivelatore di realtà sociali poco edificanti – come,
d’altronde, è avvenuto anche in altri testi “istruttivi” quali
“Il Principe” di Niccolò Machiavelli o “Leviathã” di
Thomas Hobbes – ma tuttavia ben presenti all’epoca (e non
solo allora): volumi che si configurano e si confermano
testi basic, intramontabili, che trattano temi suscettibili solo
di aggiornamenti e non di scomparsa e che portano
l’imprimatur della “medietas” e di poter essere, quindi, sia
buoni che cattivi a seconda dell’uso che se ne preferisce
fare, come sottolinea Miguel Real, nella Prefazione della
versione inglese “Art of Stealing”. In definitiva, la molla
che spinse l’autore a occuparsi del furto fu la constatazione
che l’avidità fosse una prassi ben consolidata a vari livelli e
che i potenti non avrebbero mai smesso di alimentarla con
guerre, depredazioni, soprusi, oppressione dei popoli: tutti
erano sospettati, l’aristocrazia come la borghesia, il clero
come i militari e persino i re, provvisti di “chiodi” dei ladri”
come prebende esagerate, spese folli, velleitarie campagne
di guerra. Vengono citati (ma non accusati) anche i membri
dell’Inquisizione, autori di sequestri di beni e proprietà degli
ebrei e dei condannati per eresia mentre il dito accusatorio è
innegabilmente teso contro è i Gesuiti che «ordinano di
guardare il Cielo, mentre portano via la terra» (capitolo
XXXIX).
Foto Roberto Jandoli