Riforma della Costituzione. Quali i rischi
Luigi Santini
La proposta di riforma della Costituzione è al centro del dibattito politico. In
Italia, come nelle altre democrazie, la Costituzione è il fondamento dell’ordinamento
giuridico, il patto della convivenza dei cittadini. Di conseguenza le eventuali
modifiche alla Carta costituzionale necessitano, di regola, di un procedimento
legislativo rafforzato, teso a raggiungere due obiettivi: consacrare la centralità del
Parlamento, in quanto espressione della volontà popolare, prevedere un accordo tra
le forze politiche. La Camera e il Senato devono approvare due volte, a maggioranza
assoluta dei componenti, le modifiche proposte al Parlamento. L’approvazione deve
avvenire a distanza di non meno di tre mesi. Le modifiche entrano immediatamente
in vigore soltanto se ottengono da ciascuna Camera, nella seconda votazione, la
maggioranza di due terzi dei componenti. In caso contrario le leggi di revisione
possono essere sottoposte a referendum popolare entro tre mesi dalla loro
promulgazione.
È indubbio che sarebbe auspicabile che le ipotesi di riforma della Costituzione
fossero frutto di un accordo, almeno di massima, tra maggioranza e opposizione. Al
contrario, l’attuale Governo ha deciso di procedere unilateralmente, approvando un
disegno di legge senza coinvolgere l’opposizione. La proposta approvata in Consiglio
dei ministri ha sollevato svariate perplessità, da parte delle forze politiche di
opposizione, ma anche tra molti giuristi. Vengono messi in luce i rischi connessi ad
una riforma finalizzata soltanto a rafforzare il ruolo del capo del governo. In merito
va sottolineato che il progetto di riforma, prevedendo l’elezione diretta del Presidente
del Consiglio da parte dei cittadini, inciderebbe fortemente sugli equilibri tra i poteri
costituzionali, limitando le prerogative del Parlamento, ma, soprattutto, riducendo la
figura del Presidente della Repubblica a mero ruolo simbolico. Al Capo dello Stato
resterebbe soltanto il compito di nominare il presidente del Consiglio voluto dagli
elettori. In caso di crisi di governo egli potrebbe soltanto indicare come premier un
parlamentare della medesima maggioranza. Si verrebbe, così, a configurare una
situazione paradossale nella quale il premier eletto (espressione di una parte dei
cittadini) venga a trovarsi un gradino più in alto del Presidente della Repubblica che è
il rappresentante di tutti gli italiani, in quanto garante dell’unità nazionale
Il meccanismo di riforma è, dunque, in cammino. L’attuale governo riuscirà
senz’altro a ottenere l’approvazione a maggioranza assoluta del progetto, sia alla
Camera, sia al Senato. Nel contempo è assai prevedibile che la riforma costituzionale
– approvata dal Parlamento venga sottoposta a referendum popolare. Si aprirebbe, in
tal caso, uno scontro politico estremamente preoccupante in un Paese già pervaso da
profondo malessere ed alle prese con l’esigenza di risolvere forti diseguaglianze
sociali. Vi è il rischio che il referendum possa essere approvato da una minoranza
degli elettori. Il secondo comma dell’articolo 138 della Costituzione prevede infatti
che «la legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla
maggioranza dei voti validi». Da ciò una pericolosa conseguenza, resa ancora più
preoccupante dal crescente astensionismo verificatosi in tutte le tornate elettorali. Si
potrebbe arrivare a una riforma della Costituzione anche con pochi milioni di voti
favorevoli, purché superiori (anche di una sola unità) dei voti contrari.