comunicato stampa
Al via martedì 7 novembre la Stagione 23/24
del Ridotto del Mercadante
La sala al primo piano del Mercadante apre la programmazione
con il debutto in prima nazionale dello spettacolo
IL FRIGO
testo del 1983 del drammaturgo, scrittore, fumettista e attore
franco-argentino Copi
nella traduzione di Luca Coppola e Giancarlo Prati
con la regia di Massimo Verdastro e Giuseppe Sangiorgi
interpretato da Massimo Verdastro
su produzione del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
Parte martedì 7 novembre alle 21.00 la Stagione teatrale 2023/2024 del
Ridotto del Mercadante, la sala al primo piano del teatro di Piazza Municipio
sede del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale diretto da Roberto Andò.
Dopo quelle del Mercadante e del San Ferdinando parte anche la
programmazione al Ridotto, affidata alla prima nazionale dello spettacolo Il
Frigo, testo del 1983 del drammaturgo franco-argentino Copi – pseudonimo
di Raúl Damonte Botana nato a Buenos Aires nel 1939, morto a Parigi nel
1987 – interpretato da uno straordinario Massimo Verdastro che firma anche
la regia assieme a Giuseppe Sangiorgi. La traduzione del testo è di Luca
Coppola e Giancarlo Prati, rispettivamente, regista teatrale e attore, che nel luglio
del 1988 furono trovati morti su una spiaggia vicino Mazara del Vallo, in Sicilia,
crivellati di colpi, 31enne il primo, 45enne il secondo, in memoria dei quali su
iniziativa del critico di teatro Franco Quadri venne istituito nel 1990 il Premio
Coppola-Prati.
Le scene dello spettacolo sono di Pier Paolo Bisleri, i costumi di Roberta
Spegne, le luci di Carmine Pierri, i video di Leandro Summo, la produzione è del
Teatro di Napoli – Teatro Nazionale. Durata dello spettacolo: 1 ora.
Info www. teatrodinapoli.it
Biglietteria tel. 081.5513396 | e-mail: biglietteria@teatrodinapoli.it
Calendario delle rappresentazioni
07/11 ore 21.00 | 08/11 ore 21.00 | 09/11 ore 21.00 | 10/11 ore 21.00
11/11 ore 19.00 | 12/11 ore 18.00.
Note di regia
IL FRIGO DI COPI, OVVERO UNA DISPERATA COMICITÀ
di Massimo Verdastro
È la mia frequentazione come interprete e regista di autori quali Sandro Penna, Oscar
Wilde, Nino Gennaro, Carlo Emilio Gadda, Petronio Arbitro, che mi porta ad affrontare IL
FRIGO, una delle opere più note di Raul Damonte Botana, in arte COPI, geniale
drammaturgo, disegnatore, scrittore e attore franco-argentino scomparso nel 1987, che
ebbi la fortuna di vedere in scena a Palermo nel 1980 nel ruolo di Madame
nell’allestimento di Mario Missiroli de “Le serve” di Jean Genet.
Il frigo è un atto unico nel quale un solo attore interpreta sei personaggi diversi, e che si
può considerare un classico della drammaturgia del Novecento. È un monologo che oggi
possiamo accostare senza esitazione ad altre celebri opere, come ad esempio “L’uomo
dal fiore in bocca” di Pirandello, o “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett – testo che
ho interpretato nel 1993 per la Compagnia Krypton di Firenze.
Comicità irriverente, situazioni al limite dell’assurdo e del grottesco, funambolici
travestimenti attraverso i quali L, il protagonista e unico attore in scena, riesce a dar vita
all’inesistente: sei personaggi immaginari che non rappresentano che le sue ossessioni, i
suoi incubi. Egli è confinato nella propria stanza ove è presente un unico oggetto, un
frigorifero. Fin troppo facile assimilare quest’oggetto ad un simbolo della nostra civiltà
dominata dalla tecnologia, come è lo strumento – un registratore – che il protagonista de
“L’ultimo nastro di Krapp” usa per conservare le parole-memoria come antidoto alla morte.
Il frigorifero di Copi al contrario è unicamente e crudelmente un totem, un simulacro,
attorno al quale il protagonista pratica una danza queer feroce e macabra che genera un
paradossale circo tragico nel quale la comicità scaturisce da “un teatro dove si muore
spesso, magari tra torbidi delitti e fra atroci torture, ma dove nessuno sembra mai morire
veramente”: è questa non-morte che offre al testo l’impronta irresistibile del riso, della
farsa, dello sberleffo osceno. La non-morte è ciò che Copi genera attraverso il parossismo
del suo linguaggio, le incongruenze narrative da teatro dell’assurdo, il ritorno di corpi
mutilati, esplosi, violati, dunque morti e risorti: è la pratica che si ispira al Teatro della
Crudeltà di Antonin Artaud, del quale Copi sembra essere erede diretto.
Con una scelta di contaminazione estrema e vitale cerco di evocare nella messinscena la
parola di Artaud, che è respiro, soffio violento e corpo inarticolato, come lo sono i corpi e le
voci dei personaggi che interpreto nella pièce: portatori di anti-linguaggio, anti-narrazione,
anti-rappresentazione, nonostante uno dei personaggi, Goliatha, affermi perentoriamente
“Se non è un teatro, questo!”.
Al cospetto del frigo/monolite/specchio tento di rivelare, grazie alla guida sapiente e
attentissima di Giuseppe Sangiorgi, ciò che racchiude il mio corpo di attore attraverso
travestimenti, sdoppiamenti improvvisi, incontri inaspettati, delitti, aggressioni, stupri: è la
funambolica lingua di Copi che fonde commedia, farsa, pochade, tragedia, dando vita ad
una sorprendente e disperata comicità.
Con Copi affronto la sfida di mettermi ancora una volta in gioco, offrendo a me stesso la
possibilità di interpretare vorticosamente e voluttuosamente i sei diversi personaggi. Mi
assumo il rischio folle e lucido di vivere una metamorfosi che si materializza in scena, a
vista, senza rete, in compagnia di un partner inquietante e muto, il Frigo…
TUTTO PORTA A COPI
di Giuseppe Sangiorgi
L’incontro tra me e Massimo Verdastro risale al 2008 ad Alcamo, durante un laboratorio
mirato a selezionare attori per la sua rilettura del Satyricon. Da allora abbiamo collaborato
alla realizzazione di circa 10 spettacoli teatrali nel corso dei quali Massimo si è rivelato
maestro e amico. Petronio, Shakespeare, Penna, Gennaro, Petrolini, sono stati per noi
nutrimento e ispirazione, hanno arricchito il nostro immaginario contribuendo a costruire
un codice personale e condiviso. Il Frigo è per me e (sono sicuro) per Massimo
un’importantissima tappa, un appuntamento atteso, una festa preparata con grande cura
durante la quale poter giocare liberi e con tutta la gioia possibile.
“Un giorno un bambino che non esisteva trovò uno spazio vuoto e si disegnò.”
É stata questa frase di Copi, tratta dal suo libro di disegni Un libro bianco, a avere ispirato
la mia lettura drammaturgica de Il Frigo. Massimo è il bambino ideale; un bambino
prestigiatore capace di disegnarsi, cancellarsi, scarabocchiarsi e il suo tratto di matita può
continuamente cambiare colore. Si disegna su un foglio, che da bianco è diventato nero.
Una vera magia, un rito infantile, esasperato, dal quale prende forma il corpo di L, il
protagonista della piece di Copi. L è costretto ad abitare in una scena (perché in teatro si
trova) grigio-nera ingombrata da un frigo colossale; dalla scena L esce soltanto quando
deve fare posto alle proprie evocazioni: sono a loro volta dei personaggi, dei numeri,
l’interpretazione di un’umanità che ha rinchiuso fuori da se e non vuol far più entrare. É
l’umanità colorata, invadente, velenosa, dalla quale fugge e che allo stesso tempo è
costretto a esorcizzare attraverso il gioco dei travestimenti e delle possessioni. Il rito
infantile trasmuta il corpo di Massimo in un contenitore, un cilindro magico che contiene L
e tutte quante le sue apparizioni, le quali, come molluschi alla ricerca costante di un
guscio, lo riempiono e lo abbandonano. Goliatha, la Madre, la Zingara, l’Ispettore, l’Editore
attraversano Massimo, fuoriescono da lui e riempiono lo spazio con le battute, gli
accessori, gli abiti, in un susseguirsi di sketch feroci e liberatori. Anche i personaggi
inanimati, che siano bambole (la Dottoressa Freud), marionette (il Topo), o pellicce (la
Bebè Volpe), sono in realtà appendici, prolungamenti di Massimo-L, corpi che vengono da
lui manovrati ma capaci allo stesso tempo di manipolare e divorare il marionettista.
Celebrato il rito, il bambino prestigiatore osserva il kaos che ha provocato. Abiti rivoltati,
telefoni rotti, scarpe, bottiglie, orecchini: sembra sia esploso il mondo. Lo contempla da
dentro il frigo il kaos, quel frigo che non doveva aprire; e si accorge che ad esplodere in
migliaia di piccoli pezzi coloratissimi non è stato il mondo ma il suo corpo, rivelandone uno
nuovo, favoloso, indimenticabile.