Migrazioni fenomeno epocale

Luigi Santini e Stefano Sepe

Mattanza. Non altrimenti può essere definito ciò che sta succedendo da anni tra le regioni
dell’Africa settentrionale e il mar Mediterraneo: migliaia (forse decine, forse centinaia, è
impossibile quantificare con esattezza) di uomini, donne, bambini mandati a morte nel
deserto o intrappolati sui barconi alla ricerca di un avvenire che nei paesi di origine non
c’è. Non si contano più gli annegati nel mar Mediterraneo e le persone massacrate nei
lager africani o abbandonati nel deserto senza possibilità di scampo. La migrazione verso
l’Europa è un fenomeno epocale sul quale per troppo tempo, colpevolmente, le democrazie
europee hanno fatto finta di nulla, oppure hanno girato lo sguardo dall’altra parte. L’Italia
si trova da sempre nella posizione più scomoda, essendo l’approdo naturale degli scafi che
partono dalle coste africane. Il nostro Paese, nonostante gli sforzi e lo spirito solidaristico
di coloro che si sono trovati di fronte all’orrore dei naufraghi (si pensi soltanto a Cutro),
non è riuscita a coinvolgere – se non marginalmente – gli altri paesi europei nell’opera di
soccorso, di accoglienza e di smistamento dei migranti. Non è colpa di un singolo governo,
ma piuttosto dell’incapacità di operare con una strategia adeguata.
In questo tragico quadro il governo Meloni ha deciso di convocare a Roma una Conferenza
internazionale sul tema, alla quale partecipano 16 capi di governo o di Stato, con altre
delegazioni di paesi africani ed Europei. In questo numeroso consesso spiccano, peraltro,
le assenze di Francia e Germania. Circostanza non secondaria che rischia di pesare sui
risultati dell’incontro. Di sicuro a rendere ardue le trattative – in corso o da mettere in
cantiere – concorrono diverse circostanze. La più delicata consiste nel fatto che alcuni
paesi africani “frontalieri” rispetto al Mediterraneo (Libia, Tunisia, Egitto) sono delle
dittature. Lo sono anche, non bisogna dimenticarlo, Cina e Russia che tacciono sul
problema, ma sono fortemente presenti nel coltivare i loro interessi economici con i paesi
del nord Africa. Ovviamente, nelle condizioni date, non si può fare a meno di trattare con i
dittatori. A patto, però, di non accondiscendere alle loro pretese, pur di strappare un
accordo inutile. Negli scorsi mesi il nostro presidente del Consiglio si è recato tre volte in
Tunisia, con il cui leader ha raggiunto un delicato accordo. Ma non sembra, ad oggi, che
l’aiuto economico promesso alla Tunisia abbia messo fine ai massacri che si compiono in
quel paese. Analoghe forme di genocidio si praticano in altri Stati del nord Africa. In
Zambia dal 1990 esiste la più grande struttura per profughi nell’area subsahariana:
350.000 diseredati vivono (se così si può dire) in condizioni subumane, alla mercè di
schiavisti.
Difficile, certo, venire a capo di problemi così difficili, ma – occorre ripeterlo – l’Europa
non fa abbastanza (anche per la sordida opposizione di Polonia e Ungheria), l’Italia – dal
canto suo – cerca di aggregare consensi e prospettare soluzioni. Ma raramente le
conferenze e i dibattiti producono da soli risultati apprezzabili. Colpiscono, in questo
quadro, le parole di Giorgia Meloni, la quale ha affermato che intende impedire
definitivamente l’arrivo di migranti irregolari in Italia. Affermazione palesemente incauta
di fronte a scenari tanto intricati.

La Conferenza di Roma ha preso atto della complessità del problema, senza poter definire
al momento strategie di intervento. Del resto, non ci si poteva aspettare di più. In tale
contesto il governo italiano dovrebbe recuperare il rapporto con la Francia e, insieme alla
Germania, creare uno schieramento ampio di paesi della UE in grado di modificare
l’approccio con i paesi nordafricani, non limitandosi all’elargizione di denaro. Le soluzioni
sono complesse e non si risolvono con la bacchetta magica. Occorre lavorare, affinché si
arrivi a forme di integrazione favorevoli tanto all’Europa quanto ai paesi del nord Africa.
Le democrazie – hanno sempre sostenuto filosofi, storici, politologi e sociologi – sono
“società aperte”, nelle quali l’osmosi di razze e culture serve a rafforzare il tessuto civile. È
in base a tale principio che occorre compiere gli sforzi necessari per allentare l’emergenza
migranti e per disegnare un patto di convivenza tra paesi dai quali si emigra e quelli che
accolgono i migranti per integrarli nel tessuto civile e produttivo.

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